In questi preoccupanti mesi di piena crisi
Coronavirus, in tutti i sensi, molti docenti di Scienze motorie e
sportive della Scuola secondaria si sono prodigati a dispensare materiali ai
propri alunni in modi diversi per continuare le attività motorie a casa. Alcuni hanno selezionato e inviato video lezioni con programmi fisici trovati su internet,
altri hanno creato uno spazio virtuale personale con esercizi e attività varie, altri
ancora hanno preferito far prendere alla materia un orientamento teorico con
video lezioni correlate al programma svolto. Insomma, come tutti, si sono messi
in gioco e hanno anche imparato dalla rete. Le Scienze motorie hanno degli obiettivi
che per il 95% sono pratici, se si considera il numero di lezioni svolte in
palestra rispetto a quelle in classe; servono soprattutto per far muovere gli
allievi che in questa delicata fascia d’età si muovono sempre di meno. Gli
altri obiettivi vanno dal coordinativo alla conoscenza del proprio corpo a fini salutistici, ai
limiti condizionali fino allo sviluppo delle capacità di relazione interpersonale. Il rischio, con l'eventuale ripresa della scuola al prossimo settembre, è
che la parte pratica della materia sia sacrificata. Esiste anche il grosso problema degli asintomatici o portatori sani, che sarebbero moltissimi tra i giovani. Secondo l'Oms potrebbero trasmettere il contagio solo se presentano sintomi (febbre, raffeddore, tosse), in altri casi risulta più raro. Controllare queste variabili a scuola sarebbe veramente difficile, si pensi alla sola misurazione della temperatura corporea all'entrata. In questo periodo i protocolli
dell’Istituto superiore della sanità spingono allo svolgimento regolare di
attività motoria da praticare individualmente e in condizioni sicure a casa,
per stimolare il sistema immunitario ad alzare le difese insieme al microbioma
dell’intestino. Uno studio recente dell’Università del Minnesota (CIDRAP,
Center for infectious Disease Risearch and Police) sostiene che la pandemia
durerà per un arco temporale di 18-24 mesi e quando ne usciremo sarà stato contagiato il 60-70% della popolazione mondiale. Neppure il vaccino ci aiuterà da
subito, ci vorrà tempo. Entrando nel merito della materia pratica che cosa
possiamo fare? Innanzitutto siamo legati alle decisioni dall’alto e rientreremo solo se le condizioni lo permetteranno, ma in questi
mesi diversi studi di esperti hanno rivelato quello che sarebbe possibile proporre
in un’ipotesi di rientro per ricominciare l’attività motoria a scuola, magari lasciando
il tempo per organizzarsi. Innanzitutto l’igienizzazione degli ambienti
utilizzati e dei materiali comuni. Quello che riporto è il risultato di studi, sono
un’insegnante di Scienze motorie che cerca
di capire cosa ci aspetta nel futuro e come e se è possibile muoversi. Recentemente
ho letto una considerazione di un personaggio politico che sosteneva che le
lezioni di Scienze motorie sono più a rischio rispetto ad altre lezioni in
classe. In realtà c’è lo stesso rischio di contagio, anzi se le lezioni
pratiche sono svolte all’aria aperta con certe precauzioni è ancora minore. All’inizio
del nuovo anno scolastico, sempre in un'ipotesi d'inizio dell'attività, quello che dovrebbe cambiare è il modo di far lezione, adottando
degli accorgimenti come la giusta distanza, l’utilizzo di dispositivi
contenenti disinfettante per le mani all’entrata e uscita dalla palestra, utilizzo
di guanti monouso in lattice in alcune situazioni, evitando attività di contatto (esercitazioni e
discipline sportive). L'uso delle mascherine durante l'attività non sarebbe benefico per la persona secondo giudizio medico perché respirando la propria anidride carbonica si rischia l'alcalosi. Anche il livello d'impegno dell’attività dovrebbe essere
da moderato a medio, ma a scuola già questo è il livello delle proposte
didattiche nelle lezioni poichè non è un ambiente sportivo prettamente competitivo. Esiste uno studio recente dell’Istituto superiore della sanità (3
scienziati italiani: Dal Negro, Nisini, Matricardi) che ritiene l’attività
fisica pericolosa se eseguita ad alta intensità nelle prime fasi della malattia, provocherebbe
complicazioni fino a creare enormi problemi respiratori. Questo potrebbe essere un grosso problema,
non tanto a livello scolastico, ma per gli sportivi agonisti, questo sembra essere
uno dei motivi sul perché non ripartono i campionati sportivi ad alto livello. Un
altro fattore da considerare è lo studio sui germi nell’aria, chiamati
“Droplet” che significa gocciolina. Lo studio eseguito durante l’emergenza
Coronavirus inerente alla dinamica di contagio Sars-Cov-2 è pubblicato sul sito
www.urbanphysics.covid19.net
e sostiene che gli sportivi durante un'allenamento di corsa devono stare a 5-10 mt in scia, distanza
variabile in base all’andatura dell’atleta. Gli sport di contatto
(pallacanestro, pallamano, calcio, pallavolo, judo, karate, ecc.)
aumenterebbero la possibilità di contagio. Anche la pallavolo, molto utilizzata
nelle lezioni scolastiche, creerebbe situazioni di contatto, anche se vi è una
rete che divide le squadre, avvengono situazioni ravvicinate di difesa o a
muro. Gli sport con la racchetta potrebbero andar bene ma
senza l’avvicinamento a rete, con l'utilizzo di occhiali per impedire di toccarsi gli
occhi con le mani e guanti in lattice per l’impugnatura dell’attrezzo. Inoltre,
i materiali andrebbero usati individualmente (qui si potrebbe aprire una
discussione sui materiali usati in comune dagli alunni a scuola che non potrebbero
essere igienizzati ogni volta). Considerando tutto quello scritto finora si
arriva alla conclusione che le lezioni di Scienze motorie potrebbero essere
svolte ma in gruppi limitati (massimo 12-15 unità) per ridurre i contatti e scegliendo attività
che permettono il mantenimento delle distanze. I tempi dovrebbero essere più
lenti, ad esempio negli spogliatoi dovrebbero entrare 5/6 alunni alla volta sacrificando tempo alla lezione. La
classica lezione come la conosciamo oggi per il momento va accantonata, di essa
possono essere mantenute solo le fasi generali come l’avviamento motorio, la
fase centrale e la fase di defaticamento. Andrebbero bene le lezioni in palestra o
meglio all’aria aperta su campetti con i classici esercizi ginnici o fitness, tenendo gli
alunni a distanza e magari con tappetini personali o forniti per il periodo
dalla scuola. Sarebbero ottime anche le camminate aerobiche a bassa-media intensità,
anche lunghe ma in pianura. Ci si deve insomma ingegnare e prestare la massima
attenzione alle attività e ai movimenti degli alunni. Comunque parlare delle
problematiche è importante per capire come muoversi in questo periodo, per rimanere
uniti come categoria e valorizzare la nostra materia, mai come adesso serve l'impegno collettivo per uscirne. E’ importante fare, si
dice “chi fa sbaglia e chi non fa critica”, naturalmente se ci sono tutte le condizioni di sicurezza per fare.
Salute = attività fisica + alimentazione corretta
Blog dedicato a tutte le persone che ricercano la salute attraverso l'attività fisica e una dieta adeguata
Intelligenze Multiple: diversificare per valorizzare
1. Howard Gardner e La Teoria delle Intelligenze Multiple
L’intelligenza è la capacità di comprendere il mondo in cui viviamo e di risolvere i problemi ambientali, sociali e culturali che ci vengono posti in ogni momento della nostra esistenza. Fino alla prima metà del ‘900, si pensava abitualmente, anche negli ambiti accademici, che l’intelligenza fosse identificabile con una capacità monolitica, comune e misurabile in tutti gli individui, anche attraverso standard e test di valore scientifico.Gli studi dell’americano Howard Gardner e la pubblicazione del suo libro Frames of Mind nel 1983 contribuirono a scardinare queste certezze e introdussero al mondo scientifico ed accademico la cosiddetta Teoria delle Intelligenze Multiple, secondo la quale non esiste una facoltà comune di intelligenza, bensì diverse forme di essa, ognuna indipendente dalle altre.
2. Le nove forme di intelligenza
La Teoria delle Intelligenze Multiple si basa sul concetto che tutti gli esseri umani possiedono almeno sette forme di “rappresentazione mentale”, cioè sette diversi tipi di intelligenze:2.1 Intelligenza Linguistica: “pensare con le parole e riflettere su di esse”.
Caratterizzata da una sensibilità per il significato delle parole, per l’ordine fra esse e per le funzioni proprie del linguaggio come convincere, stimolare, trasmettere informazioni e piacere, tale intelligenza si manifesta con una notevole produzione linguistica, una buona capacità di ragionamento astratto e di pensiero simbolico, ma è, però, anche oggetto di una distinzione fondamentale tra oralità e scrittura.Alcuni alunni, infatti, probabilmente avranno una certa facilità ad apprendere tramite l’ascolto e presenteranno un elevato sviluppo delle abilità mnestiche.
2.2 Intelligenza Logico-matematica: “pensare con i numeri e riflettere sulle loro relazioni”.
Secondo Gardner ciò che caratterizza l’alunno con una intelligenza “matematica” è la capacità di condurre ragionamenti molto lunghi riuscendo a ricordare i diversi passaggi di cui si compongono.In realtà non si tratta di una memoria eccezionale, bensì di un’abilità particolare nel cogliere il senso complessivo delle connessioni che legano le varie proposizioni della dimostrazione. risulta evidente in quegli alunni che possiedono abilità nel comprendere le proprietà di base dei numeri, aggiungendo o sottraendo, nel capire i principi di causa ed effetto e la corrispondenza di valore univoco, nel prevedere,ad esempio, quali oggetti galleggiano, affondano, ecc.., nel riconoscere schemi, lavorare con simboli astratti (ad esempio numeri, figure geometriche, ecc.) e nel cogliere le relazioni o trovare i nessi tra informazioni separate e distinte.
2.3 Intelligenza Musicale: “pensare con e sulla musica”.
Caratterizzata dalla spiccata capacità a riconoscere, ricostruire e comporre brani musicali sulla basedel tono, del ritmo e del timbro, tale abilità è collocata nell’emisfero destro del cervello ed è separata dal talento linguistico.Gardner ritiene che uno dei primi talenti che emerge in un individuo sia proprio il talento musicale. Chi cresce con un’intelligenza di questo tipo sviluppata, è abituato ad apprendere attraverso il canto e la musica e trasforma, spesso, ciò che sente in una cantilena o in un ritmo.
Possiede, inoltre, capacità come quelle di riconoscere e usare schemi ritmici e tonici, di usare la voce e strumenti musicali, la sensibilità ai suoni dell’ambiente.
2.4 Intelligenza Visuo-spaziale: “pensare con immagini visive e fare elaborazioni su di esse”.
È propria di chi predilige le arti visive, di chi ha un buon senso dell’ orientamento, di chi non ha difficoltà nella realizzazione di mappe, diagrammi, carte geografiche, modellini e giochi che richiedono la capacità di visualizzare oggetti da angoli e prospettive diverse. Pensare con l’intelligenza spaziale significa pensare per immagini e disegni, avere quella che spesso viene definita una memoria visiva: si ricorda un testo o una parola per la sua collocazione nella pagina del libro. Puzzle, giochi di costruzione e di composizione sono attività privilegiate da chi abbia un’intelligenza spaziale particolarmente sviluppata.2.5 Intelligenza Corporeo-cinestetica: “pensare con e sui movimenti e i gesti”.
Si sviluppa attraverso esperienze concrete che interessano tutto il corpo. Chi privilegia tale intelligenza deve fare esperienza, deve agire, e ricorda prevalentemente quello che viene fatto. Sviluppa, inoltre, un’elevata sensibilità tattile e anche una spiccata sensibilità istintiva, ha coordinazione e armonia motoria. In questi casi un allievo che ha sviluppato maggiormente l’intelligenza corporea, impara facendo, ha bisogno di esperienze concrete, di muoversi e di passare le informazioni attraverso il corpo.2.6 Intelligenza Interpersonale: “avere successo nelle relazioni con gli altri”.
Guarda verso l’esterno, al comportamento, ai sentimenti, alle emozioni e alle motivazioni di altri individui (una sorta di capacità di “empatia” verso il prossimo). Un alunno con Intelligenza Interpersonale è abile costruttore di relazioni, si fa spesso mediatore in dispute, sa comprendere gli altri, fa prevalere il desiderio di socializzazione e di interazione e, di conseguenza, ha molti amici e coltiva le amicizie, socializza con facilità, cerca attività extra-scolastiche in cui inserirsi, si adatta bene alla vita di gruppo, ama i giochi di gruppo e di società ed è portato a sviluppare empatia verso gli altri.2.7 Intelligenza Intrapersonale: “riflettere sui propri sentimenti, umori e stati mentali”.
Fa riferimento alla conoscenza intima delle proprie pulsioni interne, delle proprie emozioni e moti affettivi; implica la capacità di classificare e discriminare i propri sentimenti, definendoli altresì attraverso un sistema simbolico elaborato (ciò che oggi, approssimativamente definiremmo “Intelligenza Emotiva”). Un alunno con Intelligenza Intrapersonale ha una forte personalità che però non mette in relazione con gli altri, ma che preferisce tenere in isolamento, optando per attività di tipo individualistico: un hobby, un diario. Prevale un senso di sé profondo che induce alla meditazione solitaria. I suoi atteggiamenti privilegiati, dunque, potrebbero essere: mostrare senso di indipendenza, formulare opinioni categoriche, sembrare chiuso in un suo mondo interiore, possedere un profondo senso di autostima, coltivare un hobby personale, non seguire le mode, prediligere il lavoro individuale.A queste sette intelligenze, nel corso degli anni di studio, Gardner aggiungerà altre due forme importanti che sono:
2.8 Intelligenza Naturalistica: “Pensare alla natura e al mondo che ci circonda”
2.9 Intelligenza Esistenziale: “Pensare alle questioni etiche ed esistenziali”,
completando così il quadro delle varianti di intelligenza e arricchendole di un aspetto riferito all’ambiente in cui viviamo e di un altro legato alla capacità di autoriflessione.3. Implicazioni e applicazioni didattico-educative della Teoria delle IM
Anche se tutti gli esseri umani possono avere tutti i nove profili di intelligenza, ogni persona è caratterizzata dalla propria particolare “miscela” o “talento” o ancora profilo peculiare di intelligenza.Il prevalere dell’una o dell’altra intelligenza determina, inoltre, il modo specifico e privilegiato di apprendimento di ciascuno. Per esempio, gli studenti con disabilità o difficoltà di apprendimento spesso evidenziano deficit nelle intelligenze verbale-linguistica e logico-matematica, ma hanno punti di forza in altre.
Come è evidente, la nozione di intelligenza viene spezzettata in diversi tipi e combinazioni di rappresentazioni mentali, capitale iniziale in possesso dell’individuo fin dalla nascita, che però può essere modificato in relazione alla maturazione, all’esperienza, all’interazione con altre rappresentazioni.
- Due aspetti importanti della Teoria delle Intelligenze Multiple sono che tutti possiedono:
diverse intelligenze grazie alle quali, cognitivamente parlando, diventano umani. Pertanto ogni insegnante, supponendo che ogni suo alunno possieda queste intelligenze, può scegliere di insegnare rivolgendosi alle intelligenze specifiche, sviluppandole e tenendo conto della loro esistenza nell’uso di materiali educativi significativi; - un
profilo di intelligenze diverso, in quanto non tutti hanno le stesse
esperienze di vita. Ad esempio anche due persone, apparentemente
indistinguibili sotto il profilo fisico, possono essere fortemente
motivate a distinguersi tra di loro in campi intellettivi diversi.
Il problema di tutti gli studenti, spesso, è di non avere chiara consapevolezza dei propri processi cognitivi e di quale sia il proprio personale rapporto con il sapere.
Alla luce di quanto detto, quindi, una domanda risulta inevitabile: come possiamo, noi docenti, pretendere che in una classe il rapporto con il sapere venga proposto, guidato, stimolato in modo univoco, secondo schemi basati solo sulla trasmissione frontale?
E ancora, come si può favorire la conoscenza e la consapevolezza dei propri stili di apprendimento e di processi cognitivi negli studenti se viene privilegiato un unico canale?
La risposta, tanto banale quanto ovvia, parte dalla conoscenza delle caratteristiche e dello sviluppo delle diverse intelligenze proposte da Gardner e dalla loro valorizzazione.
Per molto tempo, negli ambienti educativi, le differenze individuali sono state considerate un elemento di poca importanza, ogni persona veniva trattata come le altre, e questo trattamento sembrava in apparenza corretto.
L’approccio gardneriano si fonda su un metodo diametralmente opposto, ossia su quelloche viene denominato istruzione Student-Centred, centrata sull’alunno, in base al quale si cerca di conoscere il più possibile ogni allievo, poi si crea e si utilizza una modalità di insegnamento capace di aiutare ciascuno a imparare il più possibile secondo i modi, i tempi, i ritmi, gli stili a lui congeniali.
Tutto questo si traduce, nella didattica, in un approccio teso a valorizzare le differenti potenzialità di ogni studente, individuabili attraverso un’osservazione sistematica e condotta con criteri e strumenti validati scientificamente, ma sostanzialmente molto diversi dai tradizionali test di intelligenza.
Una scuola attenta ai bisogni degli alunni in difficoltà, dunque, dovrebbe sapersi adeguare alle differenze degli alunni, soprattutto se disabili, modificando modi e metodologie, strategie, tempi, strumenti, stili, attività, in accordo con quanto affermato da Gardner stesso.
Le implicazioni della Teoria delle Intelligenze Multiple di Gardner, sul piano dell’innovazione e delle applicazioni didattiche, sono svariate e riguardano molteplici campi del processo di Insegnamento/Apprendimento e diversi ambiti della Didattica Speciale.
Tuttavia, nella presente relazione, si vuole metterne in evidenza principalmente tre: l’utilizzo di attività differenziate e diversificate, lo sviluppo di strategie e metodologie di insegnamento alternative e la creazione di modalità diverse per la verifica, per la valutazionee per il Feedback da parte dell’insegnante.
3.1 Differenziare le Attività Curricolari
Per quanto riguarda il primo punto, Differenziare le Attività Curricolari, quando noi insegnanti includiamo nella scansione didattica attività con movimento, pittura, musica, contatto con la natura, introspezione e interazione, è facile osservare come gli alunni vedano maggiormente coinvolti, partecipinocon più entusiasmo, diventino più attenti e disponibili ad apprendere.Un modo “intelligente” per applicare la Teoria delle IM è, dunque, insegnare con una gamma di attivitàdidattiche che incontrino la varietà delle intelligenze di ogni alunno.
Ciò non significa, è ovvio, che occorre conoscere l’esatta forma di intelligenza di ogni nostro singolo alunno (anche se con gli alunni disabili questo potrebbe essere ottenuto più facilmente grazie alla fase di osservazione che precede la stesura del PEI), ma piuttosto che è utile partire dalla consapevolezza che esiste più di un tipo di intelligenza e, di conseguenza, cercare attività didattiche ed esercizi che varino spesso e che abbraccino tutte le preferenze, per non dire predisposizioni, dei nostri alunni.
3.1 Attenzionare le Strategie e le Metodologie di Insegnamento/Apprendimento
L’esistenza di differenze individuali anche accentuate tra gli studenti richiede all’insegnante attento di utilizzare una varietà di strategie didattiche.In questo modo, alternando modalità di trattazione dei contenuti, ci sarà sempre un momento in cui l’attività in classe coinvolgerà pienamente le intelligenze più sviluppate di ciascun alunno.
In questa prospettiva, gli insegnanti, sono chiamati ad arricchire il proprio repertorio con un’ampia gamma di metodi, materiali e strategie per «agganciare» classi sempre più eterogenee.
Da un punto di vista operativo, il lavoro didattico sulle intelligenze multiple può essere condotto utilizzando due strategie generali. La prima, definita “un’attività per ogni intelligenza”, permette all’insegnante di sollecitare prevalentemente un solo tipo di intelligenza con una attività didattica specificamente dedicata ad essa.
La seconda strategia, definita “un’attività per più intelligenze”, consente ai docenti di organizzare un’unica attività didattica per stimolare simultaneamente più intelligenze.
3.3 Incoraggiare la valutazione, la verifica e il Feedback “individualizzati”
Il terzo aspetto preso in considerazione è stato la valutazione, la verifica e il Feedback “individualizzati”. La Teoria delle IM evidenzia come esistano tante modalità possibili con le quali l’alunno può dimostrare le conoscenze e le abilità che ha acquisito; tra queste gli organizzatori anticipati, le checklist di osservazione, l’analisi degli errori, il portfolio. Ad esempio, per valutare l’apprendimento in matematica, l’insegnante può organizzare un lavoro in gruppi cooperativi (intelligenza interpersonale), con materiali di manipolazione (intelligenza corporeo-cinestetica) da concludere con una riflessione metacognitiva (intelligenza intrapersonale).Bambini, quel che si impara prima dei 5 anni influenza il resto della vita
Lo studio. La ricerca, coordinata dal Virginia Tech, ha preso in considerazione due gruppi di bambini e ha esaminato il loro livello di apprendimento nel tempo. "L'Abecedarian Project ha controllato la qualità di vita collegandola alle esperienze delle persone nei primi cinque anni - spiega Craig Ramey, docente del Virginia Tech Carilion Research Institute, che dal 1987 partecipa all'Abecedarian Project - . Abbiamo dimostrato che se forniamo educazione di qualità ai bambini che vivono in situazioni di disagio sociale possono raggiungere ottimi traguardi da grandi".
I gruppi di bambini. Gli studiosi americani hanno diviso i bambini in due gruppi e solo uno dei due è stato seguito in modo adeguato da un punto di vista didattico per 5 anni. Ogni giorno un maestro li invitava apartecipare ad attività, letture e conversazioni. Ramey ha concluso che seguire un bimbo tutto il giorno in modo adeguato, insegnandogli molte cose, per 50 settimane l'anno cambia completamente il corso della sua vita. "I programmi didattici - spiega Ramey - fanno la differenza. Serve una buona interazione fra insegnante e bambino. L'educatore deve far partecipare il piccolo a diverse attività e capire quali sono i suoi bisogni. Il bimbo va stimolato con giochi, letture e dialogando con lui".
A 6 settimane. Dalla ricerca è emerso che gli adulti che erano stati seguiti e stimolati dalle 6 settimane ai 5 anni di vita avevano maggiori probabilità di trovare un impiego a tempo pieno, di avere successo sul lavoro, di raggiungere un buon tenore di vita e di avere un rapporto equilibrato con i propri genitori. E anche un maggior senso giustizia sociale. "In pratica se si trattano bene le persone e si investe su di loro, quello che è stato fatto darà ottimi frutti - ha spiegato ancora Ramey - . Per questo è importante che tutti i bambini possano usufruire di servizi educativi adeguati fin dai primi anni di vita".
L'infanzia. Un risultato che non stupisce gli esperti del settore. Da tempo diversi studi hanno messo in evidenza la stretta correlazione fra i primi anni di infanzia e la formazione dell'individuo."E' noto da molto tempo che i primi anni di vita sono fondamentali per tanti diversi aspetti: emotivi, cognitivi, sociali. Si forma il legame di attaccamento con le figure significative, ci si apre al mondo e si è molto ricettivi. Questa ricerca torna sulla questione dimostrando come dei buoni interventi nei primi anni comportino una serie di ricadute positive negli anni successivi sia nel rapporto con i propri genitori in età adulta sia nelle relazioni sociali più vaste, comprese quelle lavorative", commenta Anna Oliveiro Ferraris, psicologa e psicoterapeuta, esperta in temi di educazione.
Stimolare. La parola d'ordine quindi è stimolare il più possibile i neonati e i bimbi piccoli. Lo confermano le ricerche scientifiche basate sulle neuroscienze. Quello che può far la differenza è l'educazione emotiva: cioè far sentire il proprio figlio compreso e accolto nelle sue emozioni. "Quando nasciamo il cervello è pronto a costruire reti neuronali, ma devono essere 'attivate' e sono dipendenti dall'esperienza. Ce lo dicono anche le neuroscienze - spiega Alberto Pellai, psicoterapeuta età evolutiva, docente all'Università degli Studi di Milano e autore del libro: L'educazione emotiva - . Per questo il bambino va seguito e anche se piccolissimo deve essere coinvolto in attività specifiche. Servono relazioni di cura nutrienti ed emotivamente competenti che diano sicurezza. Inoltre il bimbo va stimolato con giochi e spiegazioni".
L'adulto come coach. I genitori, i nonni o le persone che si prendono cura dei primi anni di vita, diventano dei coach. Perché già a pochi mesi è ora di studiare. Anche se con palle di gomma, pupazzi o disegni. Anche il momento della pappa o del bagnetto può essere l'occasione giusta per imparare qualche cosa. "L'adulto deve diventare un 'allenatore emotivo' - spiega Pellai - .L'empatia è fondamentale perché la madre o il padre deve poter sentire quello che sente il bambino. E' come se si attivassero le stesse reti neuronali tra genitore o educatore i bimbo. Per questo si parla di neuroni mirror".
La sintonia. Per educare davvero serve soprattutto saper ascoltare, riuscire a percepire lo stato emotivo. Saper fare chiarezza con decisione e dolcezza. E' dunque inutile e controproducente arrabbiarsi per i capricci. Non è facile però per gli adulti captare e capire le emozioni del piccolo che non sa ancora esprimersi con le parole. Interpretando le sue richieste può rispondere ai suoi bisogni. Calmare la sua rabbia, le sue paure e rispondendo alle sue richieste di cibo o di coccole. Ma quali sono le attività da scegliere nei primissimi anni di vita? "Quelle che puntano a sviluppare le aree sociali e cognitive. Va stimolato molto attraverso il linguaggio, per aiutarlo a crescere - aggiunge Pellai - . Se nominiamo e trasformiamo in parole gli stati emotivi del bambino, lui riesce a interpretarli e questo lo porta a evolversi". L'altro elemento importante è quello dei giochi che devono essere adeguati al suo modello di sviluppo. I piccoli vanno coinvolti in attività ludiche che coinvolgano il corpo. "Attraverso il corpo i bambini esplorano oggetti, sviluppano il tatto e la loro motricità - conclude Pellai - . Tutte queste attività sono molto utile per diventare grandi. E costruirsi un futuro".
Non solo studio. I primi anni di vita sono quindi fondamentali per la formazione di un individuo. Parlare ai neonati e spiegargli tutto è importante per coinvolgerlo il più possibile. I piccoli vanno ascoltati e bisogna insegnare loro molte cose con giochi e attività ludiche. E un bambino ben seguito ha più probabilità di realizzarsi in età adulta. Anche se esistono però diverse variabili che contribuiscono al successo nella vita. Anche se si è preparati possono influire altri fattori come la fortuna o le conoscenze. "Non sempre le cose vanno così lisce nelle età successive della vita - conclude Oliveiro Ferraris - perchè possono entrare in gioco altre variabili, per esempio nel nostro Paese non è detto che chi è preparato, maturo e ben disposto riesca ad avere una collocazione sociale adeguata alle sue caratteristiche, tant'è che oggi sono molti i giovani italiani preparati che migrano in altri paesi.
Da "Repubblica"
di Valeria Pini
I 10 falsi miti del dimagrimento
Nel campo del dimagrimento se ne sentono di tutti i colori, esistono dei miti da sfatare, dai detti popolari privi di fondamento scientifico e persino ai consigli della nonna tramandati.
Vediamoli!
Primo mito: si dimagrisce mangiando una sola volta al giorno.
In questo modo si crea uno squilibrio glicidico nel sangue con ipoglicemia e quindi malesseri vari abbinati a scarso rendimento nell’efficienza motoria e psichica generale. Se si dividono le calorie in più pasti nella giornata (5-6) si permette un aumento metabolico generale e quindi maggiore consumo calorico.
Secondo mito: si dimagrisce con le mono-diete.
Esse sono le famose diete provate e consigliate dalle casalinghe disperate ed imposte ai poveri cristi dei mariti, per citarne alcune: la dieta del minestrone, la dieta della frutta, la dieta dello yoghurt,etc. Queste diete consistono nel mangiare per un periodo indefinito solo un tipo di alimento provocando uno squilibrio a livello dei nutrienti di cui il corpo ha bisogno ( glucidi, proteine, grassi, sali minerali e vitamine) e provocando problemi ai tessuti e agli organi.
Terzo mito: la pasta fa ingrassare mentre il riso non ingrassa.
Innanzitutto non è vero che la pasta fa ingrassare, va mangiata nelle giuste quantità, non abbinata al pane e sempre con un tipo di vita di movimento, altrimenti le energie non consumate vengono trasformate in grasso (anche il riso). Il riso ha quasi le stesse calorie della pasta e addirittura un indice glicemico superiore, inoltre è più digeribile della pasta e crea sensazione di fame molto prima.
Quarto mito: se si mangia di meno si dimagrisce sempre.
L’organismo di difende dal calo di peso rapido con un meccanismo di risparmio che gli consente di consumare meno calorie a parità di lavoro svolto. Inoltre assimila di più il cibo ingerito abbassando il metabolismo basale.
Quinto mito: i massaggi fanno dimagrire.
I massaggi possono solo mobilizzare i grassi che si trasferiscono da un settore ad un’altro del corpo senza “sciogliersi” , inoltre possono essere di aiuto come mezzo di tonificazione perché facilitano il trasporto metabolico nella zona trattata agevolando il riflusso delle tossine.
Sesto mito: i diuretici e i lassativi fanno dimagrire
Essi favoriscono solo l’eliminazione di acqua , che verrà reintegrata con quella bevuta o contenuta nei cibi, inoltre provocano calo di Sali minerali indispensabili per le funzioni dell’organismo .
Settimo mito: dimagrire con cure ormonali.
Prendendo questi ormoni si può evidenziare un veloce dimagrimento ma si alterano le normale funzioni del corpo e si influenza negativamente il sistema neurovegetativo provocando gravissime patologie.
Ottavo mito: si può dimagrire 2-3 kg a settimana.
Viene consigliato un calo di peso di non più di 2-3 kg ogni 15 giorni o l’1% del peso reale ogni 7 giorni. In questo modo, con una razionale alimentazione ipocalorica abbinata al movimento ci si garantisce la perfetta efficienza fisica e psicologica. Una volta raggiunto il peso ideale è bene continuare la dieta ipocalorica di mantenimento per un lungo periodo di tempo per riadattare il metabolismo al nuovo peso e permettere all’organismo di autoregolarsi e non reintegrare i chili persi. Mentre l’attività fisica dovrebbe essere praticata regolarmente come buona abitudine di vita.
Nono mito: la sauna fa dimagrire.
Essa contribuisce a togliere dall’organismo acqua e sali minerali preziosi, che verranno poi subito reintegrati con l’alimentazione. L’effettivo consumo calorico è di 140-160 calorie per kg di sudore perso, la perdita effettiva di grasso è quindi di 17-20 grammi per kg di sudore (equivale a 10min. di corsa). La sauna serve comunque a togliere tossine dal corpo e purificare i pori della pelle.
Decimo mito: compiere attività con tute sintetiche o molto coperti.
Essi impediscono una normale traspirazione creando irritazioni cutanee. L’apparente forte quantità di sudore espulso fa calare istantaneamente il peso del corpo ma sono solo liquidi che vanno reintegrati. Se è abbinata ad un’attività fisica il calo di peso è dovuto a quest’ultima e non alle tute e agli indumenti pesanti indossati.
Ecco, ci sono tutti, perciò se volete dimagrire giustamente e naturalmente senza creare problemi all’organismo seguite le adeguate indicazioni.
A riscriverci (come diceva quello!)
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